BRIAN ENO. PROPOSTA DI PROGETTO: Parte Prima

Brian Eno, una proposta di progetto con bellissima intervista; Eno spiega i suoi esperimenti con collage di restrizioni audio, unione di suoni di differenti culture. Collaborazione con David Byrne.
Le contemporanee facilitazioni di registrazione offrono all’artista un numero di libertà uniche nel modo di avvicinarsi al suo lavoro. Nelle registrazioni audio una di queste è la libertà di combinare, formare “collage”, i suoni di strumenti di differenti culture e di differenti periodi storici e, da una alterazione delle loro dinamiche relative, di creare un’entità coerente da questi disparati elementi.
Recentemente in collaborazione con David Byrne, leader dei Talking Heads, Brian Eno ha esteso quest’esperimento oltre il livello della combinazione di suoni composti, insieme ad un approccio musicale che usa direttamente una registrazione di un cantante Arabo sovraincisa ad un pezzo di stile funky; un’altra contiene un Etiope che racconta una storia(con una voce molto musicale) al di sopra di un reggae molto sinistro o di un dubbio background.
L’effetto di simili combinazioni è di creare culturalmente musica ambigua, e l’interesse è di tracciare una linea tra l’astratto ed il riconoscibile, tra lo strano ed il familiare.
E’ intenzione di creare musica che si muove in ambedue i sensi, quello intellettuale e quello fisico. Poste le premesse sulle quali stanno lavorando e i materiali che stanno usando, questa è una sfida eccitante: “Vogliamo fare dance-music”, ma musica che possa essere ballata in molti modi e da differenti tipi di ballerini.
“La nostra conversazione con la coreografa Toni Basil, “afferma Brian Eno” ci ha mostrato che la maggior parte della dance-music contemporanea, come la “disco”, non è molto interessante per buoni ballerini. Questo non è necessariamente un difetto nel materiale; creare music ache presenti la giusta specie di sfida a differenti livelli di abilità è un difficile e ancora quasi inindirizzato compito”.
Il lavoro che hanno compiuto contiene entrambi i ritmi, il semplice ed il complesso, e questo deve essere uno dei pochi momenti nella storia della musica rock (se lo è davvero) in cui una reale collaborazione tra compositori e coreografo sia stata tentata.
“C’è una stretta collaborazione tra ciò che Toni Basil sta organizzando con la sua coreografia e ciò che noi stiamo facendo con la nostra musica. Come noi, lei trova i materiali di base nelle danze di culture molto differenti.
Queste includono la danza di Bali (dove lei vive da un pò) e quella di Thai come anche le culture dell’Africa nera e quella Afro-Americana. Ha lavorato intensamente con un gruppo di dieci danzatori negri che hanno sviluppato in questi ultimi anni una forma di ballo piuttosto singolare che diventerà certamente la danza popolare di colore degli anni ottanta. Tra gli altri, useremo questo gruppo e la sua danza”.
La loro intenzione principale è di fare un film che contenga sia le musiche che le danze originali, sviluppate in relazione tra loro, e, cosa altrettanto importante, in relazione al mezzo visivo.
Sperimentando con il video, dallo scorso anno e presentando il lavoro a New York, Tokyo e Bruxelles, cosi l’altro interesse in questo progetto è di vederlo come la continuazione di questo video-work.
David Byrne, Toni Basil ed io stesso proveniamo tutti dalla “fine-arts” nelle arti popolari, e tutti abbiamo ottenuto molto successo in questo lavoro. Ci troviamo ora in una posizione di disillusione con l’insularità delle categorie nelle quali normalmente siamo posti, e guardiamo alla creazione delle nuove forme ibride che saranno basate su una reale comprensione e sulla simpatia per le culture del mondo.
TUTTO BRIAN ENO: UN’INTERVISTA
Inutile presentare sua maestà Saint-John Baptiste de la Salle (meglio conosciuto con il resto del suo nome Brian Eno), o, come è uso indicarlo scherzosamente il suo grande amico Robert (l’altra Sua Maestà un tempo cremisi): The Captain.
Inutile dire qualcosa intorno alla sua musica, agli ambienti, le oscurità, alle laringi elettroniche e alle strategie oblique. Dove una tangente sfugge ai teoremi e si infrange sull’ipotenusa di un triangolo dopo aver mancato il contatto legale con l’oggetto prescritto, dove le perpendicolari cadono storte rispetto al piano, dove le rette cominciano ad incrociarsi, a lambirsi tortuose dopo la moda euclidea, li trovate Brian Eno, comodamente appollaiato su questi nuovi punti d’incontro, ibridi incroci di una cibernetica ambigua.
I Segreti di Eno
Qui Brian Eno ci rivela tutti i segreti dei suoi alambicchi elettronici, dell’uso dell’alchimia meccanica e della meccanica filosofica: e poi dei suoi album, dei suoi quadri, delle sue produzioni…
D.: I tuoi lavori, molto di più che quelli dei tuoi contemporanei influenzati dalla tua persona, sono spesso descritti come “decadenti”. Pensi che siano realmente decadenti? Che cosa significa “decadente”?
R.: Il termine decadente è normalmente usato per descrivere una cultura che non è ormai più fresca ed innovativa, ma che al contrario si nutre delle fantasie del suo passato. In questo senso ogni cultura è un pò decadente e quelle nelle quali sono interessato lo sono davvero molto poco. Non guardo ai miei presenti lavori come decadenti, e non mi piace essere associato con questa scuola di musica.
Eno e la robot-music
D.: Con la produzione dei Devo, si era sparsa la voce che tu stessi creando una qualche specie di musica robotoide e che tu credessi che “gli esseri umani sono realmente inferiori alle macchine e dovrebbero diventare macchine”. E’ vero?
R.: Non ho mai avuto l’intenzione di produrre robot-music e quella che ho ascoltato mi ha lasciato completamente disinteressato. Quando uso le macchine è semplicemente perchè esse fanno qualcosa che io non posso fare, e ciò contrasta con le cose che io posso fare ed Esse non possono. Le macchine non sono una minaccia, nè esse sono la chiave della salvezza.
D.: Nel comporre, produrre o registrare i tuoi albums o nel produrre altre bands, rifletti mai intorno ai limiti dello showbusiness?
Ascoltando i tuoi dischi, non sono sicuro che essi siano completamente non commerciali; entrambi le collaborazioni con Robert Fripp e, in un altro senso, “Here come the warm jets” mi sono sembrati molto calcolati per un successo commerciale. Allo stesso modo, dal mio punto di vista mitteleuropeo, l’eccellente produzione dei Devo.
R.: Ho sempre pensato che se mi piace qualcosa, ciò piacerà ugualmente ad un numero abbastanza cospicuo di persone e per me sarà facile venderlo. Questo è il mio unico assunto commerciale.
D.: I tuoi album sono differenti l’uno dall’altro. Non c’è nulla, come un sound tipico che si può riconoscere dopo il secondo o terzo album di ogni altro artista. Ogni tuo disco sembra essere qualcosa di nuovo. E’ la tua filosofia artistica? Quale dei tuoi album ti sembra il migliore?
R.: I miei album sono differenti uno dall’altro perchè ognuno di essi usa un differente approccio alle stesse preoccupazioni.
Voglio dire: io ho sempre avuto realmente tre buone idee ed esse mi interessano cosi tanto che le ho investigate da ogni angolatura. Qualche volta credo che tutte le cose interessanti che ho sempre pensato potrebbero essere state realizzate in dieci minuti circa.
E comunque una cosi breve realizzazione potrebbe non render chiaro “perchè” esse siano interessanti.
La Produzione
D.: Torniamo alla produzione. Potresti dirmi qual’è il significato principale del produttore nel rock contemporaneo? Quanto della personalità del produttore può essere intravista nel disco? C’è qualche band o musicista che tu vorresti produrre?
R.: Sono interessato in produzioni che sono collaborazioni e questo è il mio solo angolo nel soggetto.
In realtà non so cosa facciano gli altri produttori, penso che la maggior parte di essi dica “si” all’artista. Tantissime volte mi sono trovato a rispondere “no” oppure “sei sicuro?” o “come?”.
D.: Pensi che sia necessaria per un musicista rock un’alta educazione musicale?
R.: No.
D.: E’ ben noto che tu sei interessato nel rock elettronico Tedesco. Come è anche dimostrato dal disco con i Cluster. Perchè pensi che questo genere di rock sia cosi interessante? C’è qualche altra band di questo genere che ti piace ascoltare?
R.: I tedeschi hanno facili relazioni con i macchinari, e questo è vero anche per i musicisti tedeschi. Inoltre trovo semplice lavorare con loro: non sono spaventati dalla monotonia e dalla ripetizione.
D.: Ascolti altri musicisti rock o fai le cose a modo tuo, cercando di non essere influenzato da nessun altro?
R.: Non ascolto molto altra rock-music, ma questa non è una decisione presa per non essere influenzato. Attualmente sono felice di essere influenzato, se ciò mi aiuta nella mia direzione, qualunque essa sia. Sono semplicemente molto occupato, ed uno dei problemi del fare dischi è quello che non puoi ascoltare la radio mentre stai lavorando.
Altre forme di Arte
D.: Trovi qualche ispirazione nelle altre forme di arte moderna – pittura, letteratura, filosofia o scienza?
R.: Sono molto interessato alla pittura e suppongo che tra tutte le altre forme questa abbia avuto la maggior influenza su di me. Passo molto tempo ad osservare i quadri che dipingo ascoltando musica, e spesso sono tentato di ritornare alla solitaria arte della pittura. Non mi interessa molto la filosofia formale (come quella ad esempio, di Kant, Hegel o Wittgenstein) e credo che ciò accada poichè trovo quasi tutti i tentativi umani ricchi di sfumature filosofiche comunque. Il mio interesse per la scienza è certamente sorretto da questo. E’ impossibile operare una qualsiasi azione scientifica ( o artistica, in questo momento) senza evocare una filosofia che giace più o meno nascosta nell’azione.
D.: Crediamo che tu sia uno dei più significativi creatori di musica della prossima decade. Puoi descriverci il panorama musicale negli Ottanta?
Gli Anni ’80
R.: La Musica negli Ottanta sarà più noiosa. Lo spero. Avrà più a che fare con uomini reali e meno con eroi.
Voglio ascoltare musica che ti faccia pensare cosi come ti fa ballare.
D.: Sono molto interessato al tuo metodo di composizione. Entri in studio con composizioni completamente preparate o il tutto è creato dall’improvvisazione?
R.: Raramente entro in studio con qualcosa di elaborato, di già pronto. Lavoro con ciò che è la e ciò che è qui – mettendo assieme due o tre idee rozze in uno spirito allegro, finchè esse non iniziano a sembrare qualcosa che non ho mai visto prima.
Sono meno interessato agli studi di quanto lo fossi prima. Voglio lavorare all’aperto, dove posso vedere splendere il sole. Gli studi non hanno finestre e sono cosi neutri che finisci per sentirti come un pezzo di formaggio sofisticato.
La Obscure Records
D.: Ho avuto il piacere di ascoltare qualche album della OBSCURE RECORDS. Tutta roba molto interessante. Esiste ancora?
R.: La OBSCURE RECORDS è ora molto Oscura. Sto progettando di realizzarne altri esemplari.
D.: Infine, come si può notare anche dai giornali musicali, i tuoi concerti sono molto rari. Come mai?
R.: Non voglio essere quel tipo di persona. Non c’è nessuna situazione “on stage” che segua realmente la strada nella quale lavoro. Vorrei suonare in modo che nessuno potesse vedermi.
Probabilmente non sarei cosi nervoso, e potrei pensare più precisamente alla musica…
(Materiale gentilmente offerto dalla E.G. RECORDS. INC. New York)
a cura di Alessandro Staiti
Recensione estratta da “PRISMA” – Mensile di Riflessi Sonori – Numero 5/6.
PRISMA e’ una rivista mensile di Musica edita da Carlo Marignoli nel triennio ’81-’83 dove hanno partecipato alla realizzazione importanti firme della critica musicale.