Recensione del disco “FAITH”, THE CURE

The Cure

Per i Cure se il percorso era veloce e si svolgeva in soli 17 secondi in una fitta boscaglia in movimento, in questo “Faith” tutto si è più adagiato.

Tutto è come appeso al fato.

Come in un viaggio attraverso un microscopio alla scoperta del microcosmo delle particelle per poi accorgersi di avere a che fare con un macrocosmo, mentre tutto intorno ruota nel grigio.

 

Robert Smith

Abbandonata la formazione dei Cure da Matthieu Hartley, tastierista che non poco aveva contribuito a rendere omogeneo il suono del gruppo, ora è Robert Smith ad assumere il controllo totale dell’operazione.

Firmando i brani e passando con totale tranquillità dalle chitarre all’organo o al sinth, lasciando invariato il clima che i Cure bene erano riusciti a creare nel lavoro precedente.

E’ il signor Smith quindi a tirare dalle parti oscure, a tessere tese melodie, a cantare ora in modo disperato, ora tenuemente, ora carico di eco e ridondante di coro, ora ad emergere dalla semplice costruzione che gli altri due tirano su.

Perchè è una musica semplice quella dei Cure, ma come sempre la semplicità è segno di sicurezza e di controllo del proprio fare.

Se il segno è spostato dalle parti dei Joy Division o degli odierni New Order ben venga allora la svolta impressionistica.

Ed allora lasciamoci guidare nel “Dubbio” meglio ancora se accompagnati da “Altre voci” nella speranza continua nel fato.

 

A cura di Maurizio Malabruzzi (Supervisione Obliqua)

 

Recensione estratta da “PRISMA” – Mensile di Riflessi Sonori – Numero 4.

PRISMA  e’ una rivista mensile di Musica edita da Carlo Marignoli nel triennio ’81-’83 dove hanno partecipato alla realizzazione importanti firme della critica musicale.